Una relazione d’amore tossica: racconto di vita e riflessioni di psicologia
- Elena Zara - Psicologia
- 23 apr 2020
- Tempo di lettura: 12 min
Aggiornamento: 24 apr 2020
Uno dei temi maggiormente ricorrenti quando si parla di relazioni disfunzionali è quello della relazione d’amore tossica. Ma cosa si intende quando ci si riferisce a questa? Quali sono i meccanismi ed i vissuti che si celano dietro questi rapporti? Quale può essere il processo di svincolo e guarigione?
In questo articolo ho deciso di condividere con voi la testimonianza di Carla (nome di fantasia) che grazie ad un percorso di consapevolezza ed un lavoro di introspezione è riuscita a porre fine ad una relazione malsana e deleteria.
Tra una riflessione e l'altra, di questa lettera/diario, dedicherò degli spazi all'approfondimento di alcuni aspetti psicologici, cercando di percorrere, insieme a Carla, i passaggi che vanno dal danneggiamento esistenziale al recupero di sè, vissuti durante e a seguito della chiusura della relazione con il suo “partner nocivo”.
Parlando di “partner nocivo” mi riferisco ad una categoria di persone spesso cagionatrici di sofferenze all'interno delle relazioni interpersonali, prettamente in quelle sentimentali e amorose, che rientrano in quadri diagnostici vari (come ad es. il disturbo antisociale, il narcisismo etc.) e si contraddistinguono per la messa in atto di comportamenti ed atteggiamenti specifici (dal gaslighting alla violenza fisica) da tempo noti alla letteratura psicologica.
Il racconto di Carla è un autentico atto rappresentativo delle difficoltà psicologiche che emergono nelle relazioni con questa tipologia di partner ed i vissuti che riporta ben si prestano a mostrare quali siano le sottili dinamiche psicologiche che si esasperano in queste relazioni.
In primo luogo ringrazio immensamente Carla per il preziosissimo dono, per averci concesso di entrare nel suo intimo vissuto, nel suo dolore e nella sua forza, e prodigarsi come monito di coraggio per chi, leggendo la sua storia, saprà trarne riflessioni e atti di amor proprio.
La lettera, che riporto in versione integrale e senza modifiche, si propone a me così:

“...con questa, dottoressa, vorrei lasciare la mia testimonianza affinché sia d’aiuto a tutte le donne in difficoltà e soprattutto a quelle che forse ancora non si rendono conto di subire questo genere di vessazione. Si senta libera di pubblicarla se vuole (in modo anonimo) ne sarei lieta.”
L’esigenza di scrivere della sua esperienza nasce in Carla in modo spontaneo, ma questo serve affinché le sia possibile osservare il susseguirsi di fatti ed accadimenti in modo ordinato, e attribuire un significato nuovo a questo processo, un senso che solamente a posteriori le sarà più chiaro, permettendole di continuare a sciogliere i nodi dolorosi del legame psicologico che l’ha unita al suo partner tossico: dall'innamoramento, ai dubbi, alla paura, all'inadeguatezza e via dicendo. In questo vi è, un primo, importantissimo, atto curativo: osservare il proprio comportamento sotto la prospettiva di una nuova consapevolezza che implica il recupero del proprio senso di identità, proprio quel senso che, spesso, nelle relazioni con partner di questo tipo, per via dei loro comportamenti sovvertivi e ambigui, va a sgretolarsi.
“Come ci si innamora nessuno lo sa. Accade che un giorno incontri una persona e ne vieni attratto o attratta senza una spiegazione logica e razionale. Varie teorie di scuole differenti parlano di chimica, di spiritualità, di caso, di necessità.
Io parlerò della mia esperienza.
Mi ricordo cosa è successo quando ho incontrato quest’uomo e mi sono innamorata: ho avuto una stretta allo stomaco nel momento in cui mi ci sono seduta accanto. Da quell'istante in poi è stato uno scambio di incontri con amici, Facebook che con il tempo si è trasformata in messaggi quotidiani su Wapp. Mai una telefonata, per mesi, solo messaggi e incontri sporadici.
Quello che ricordo chiaro era l’altura delle conversazioni, argomenti interessanti e una certa intesa intellettuale con battute ironiche e l’inizio di un linguaggio tutto nostro. Era divertente. Sapeva mantenere su di lui le mie attenzioni. Ma lo era tutto intorno a me a prescindere da lui in quel momento della mia vita. Era tutto nuovo, e quando tutto è nuovo senti come un brivido dentro che ti spinge alla fiducia.
Ero appena uscita da una relazione durata 6 anni, in cui avevo amato follemente fin dentro le viscere la persona che poi avevo lasciato per andarmene via dal Paese. Ci amavamo ancora ma non era più possibile stare insieme. Avevo conosciuto l’amore, avevo amato e mai smesso e poi ho conosciuto il dolore che questo comporta. Ero così, addolorata e fiduciosa di questa nuova esperienza.

Ma i primi segni si sono visti da subito. Quando una volta mi ha seccato in maniera tagliente chiamandomi con il nome della sua ex o quando mi sono dimostrata in disaccordo con lui per un fatto. Avrei dovuto ascoltare il mio istinto, che proprio quel giorno mi ha dato un pugno sul petto per tenermi vigile e attenta. Niente. Ho ignorato il mio istinto. E l’ho pagata cara.”
Questo è un aspetto tipico di chi si trova in queste relazioni; vi è la tendenza a non ascoltarsi più, ad ignorare le proprie percezioni interne e si va avanti, come se nulla fosse, anche dinanzi a comportamenti spiacevoli o palesemente offensivi, proprio come fa Carla. Ciò può accadere per una vera e propria difficoltà a leggere i propri stati interni o per evitare qualcosa di scomodo, un tentativo di evitamento insomma, piuttosto che di presa di consapevolezza (chiamato dissonanza cognitiva). In questo modo il corpo rimane sganciato dell’esperienza di relazione, che ne resta in qualche modo deturpata. Va ricordato che il nostro corpo invia segnali e messaggi sempre veritieri ed imparare a leggerli, ascoltandoci, spesso ci mette in allerta ed al riparo da molte situazioni di pericolo oltre a permetterci di vivere a pieno la realtà, in modo spontaneo e genuino senza perdere il contatto con noi stessi.
“Ho sempre consigliato alle mie amiche di fare attenzione e di non farsi del male da sole con le relazioni. Ho sempre detto che la convivenza se non è con una persona davvero, davvero speciale, è nociva, tossica. L’ho sempre detto alle altre per poi caderci dentro senza nemmeno accorgermi.
Aveva dei momenti di dolcezza, erano momenti estremamente rari, dove ci scappava una carezza ai capelli. Ma il resto erano conversazioni e conversazioni, discussioni a tre livelli su problemi, famiglia, e sulla rabbia costante che dimostrava in una maniera o nell’altra. C’era sempre qualcosa su cui lamentarsi, se qualcuno aveva avuto una buona giornata, beh si però no, perchè l’altro aveva avuto una discussione con questo o con quello.
Son sempre stata una persona abbastanza attiva, pronta a fare nuove esperienze, a conoscere e visitare posti nuovi, persone. Ma con il tempo ho iniziato a preferire la comodità di casa, la stanchezza, le giornate passate in due a fare niente, nemmeno l’amore. C’erano dei commenti che avevano il potere di darmi la sensazione di una coltellata alla gola, ed erano i commenti rivolti alle donne, agli omosessuali, alle persone eccentriche e libere. Erano commenti taglienti, sempre conditi da sarcasmo e ironia, quindi ben protetti dall’essere giudicati.
All’inizio pensavo che la sua maniera di scherzare fosse reale, che avesse un’intelligenza così acuta da poter usare la metacomunicazione con potere. Credevo che fosse così intelligente da poter salire su gradi intellettivi molto complessi e per questo divertenti. Ma dopo molto, nella sua ripetizione negli anni, ho capito che in realtà la sua non era intelligenza, ma era arroganza, prepotenza intellettuale, era misoginia, omofobia e xenofobia latente, quasi da manuale. La storia della sua famiglia me lo confermava ogni volta, ma essendo io stessa cresciuta in una famiglia a dir poco disfunzionale non ne vedevo il problema. Fino a quando qualcosa dentro di me ha iniziato a cambiare.
Non ne ho mai avuto paura, non di certo la paura fisica che si possa immaginare in caso di una violenza. Non è mai, in nessun momento, stato violento con me. Almeno fino a quando non impari che esiste una violenza passivo aggressiva, una violenza emotiva.
Quello che mi metteva paura era il suo giudizio, la sua noncuranza nel non ascoltarmi, nel non sentirmi. Per la prima volta avevo accanto qualcuno che non aveva il minimo interesse a conoscermi e se lo aveva era perché ne aveva avuto un sentore all’inizio, una curiosità. Ma non era più davvero interessato a sapere chi fossi e tanto meno cosa sentissi e come stessi realmente.”

Una subdola forma di paura. Le sfumature della paura che si vive sono molteplici quanto lo sono le distorsioni che girano intorno ad essa: dall'eco rimandato da espressioni ed esplosioni di rabbia del partner, alla paura di non essere accettati, di essere considerati immaturi, sbagliati, di apparire stupidi, non interessanti, ed infine la paura di perdere il partner spesso legata alla paura della solitudine. Questa condizione porta a tollerare l’impensabile, dolore e mancanze, pur di restare insieme, modificando la propria natura e spesso ritrovandosi in una condizione di sottomissione al proprio partner.
“Le dimostrazioni di affetto erano diventate sempre più rare, e io stessa con i miei traumi e le mie disfunzioni relazionali, come reazione ho iniziato a congelarmi. Sessualmente, fisicamente, e per la prima volta intellettualmente. Trovavo le conversazioni con lui stancanti, tanto che dovevo sdraiarmi a letto con la luce spenta. Ogni volta che iniziavo a parlare o a raccontare qualcosa come un ricordo, una sensazione o qualunque cosa che riguardasse la storia della mia vita lui tagliava il discorso, mi interrompeva per iniziare la sua storia simile a quella stavo per raccontare, ma la sua era meglio. Non ho mai capito se lo facesse perchè fosse la sua maniera di dirmi: “ti capisco”, o se non avesse altro che uno specchio in me.

Diventai il suo riflesso. Mi sentivo un mobile in casa.
Se facevo qualcosa di diverso come uscire con amici o andare ad una cena senza di lui, non mostrava il benché minimo interesse, “divertiti” mi diceva. Potevo uscire e tornare alle 5 di mattina e non c’era nessun problema. Lui nel mentre continuava le sue attività ricreative in casa.
Ho iniziato ad avere attacchi di panico. Insonnia. Pensieri ossessivi.
Provavo una serie di emozioni contrastanti in sua presenza. A volte cercavo il suo amore in tutte le maniere possibili, altre volte ero una furia, altre volta senza forze. Sentivo che aveva il potere di portarmi via le energie, in qualunque maniera mi comportassi lui era sempre lo stesso. A volte mi faceva dei discorsi in cui sembrava sincero, i suoi occhi erano puliti. Ma poi si smentiva poco dopo con commenti da lasciare chiunque a bocca aperta.”
Così Carla arriva a dimenticarsi di se stessa, spegne i propri bisogni, gli slanci di tenerezza ed affetto, i desideri di scambio ed anche di sessualità. Gradualmente, si annulla.
Probabilmente lo fa per sentirsi accettata, almeno così, per non essere aggredita o criticata.
Si annulla per andare incontro all’altro, per tentare di renderlo felice sperando così che a sua volta renda felice lei. Ma è inconsapevole che non vi è condizione più lontana di questa dall'ambita reale felicità, infatti tutto ciò che reprime prende altre vie, e si fa vivo sotto altre forme, attraverso attacchi di panico, insonnia e pensieri ossessivi.
“Non mostrava interesse a meno che non stimolasse la sua sete intellettuale. Tutti erano poco per lui. Tranne alcuni, gli eletti. In genere persone ricche di moralità e rispetto, persone pure. Non ho mai visto niente di male in questo, io stessa sono sempre stata una da “pochi ma buoni”, però c’era qualcosa che lo spingeva a trovare il marcio negli altri, qualcosa che poi col tempo potesse confermare i suoi assunti. Dopo un pò ho iniziato a copiarlo. Effettivamente i suoi discorsi avevano ragione. Non facevano una sola piega logica. Fino a che non ha iniziato a vestire i panni di chi, per lavoro, si prende cura degli altri. A quel punto ho avuto tutto chiaro. Si comportava in maniera egregia con i colleghi per poi tornare a casa e insultarli e prenderli in giro per quanto gli avessero creduto. Non faceva altro che raccontarmi quanti complimenti avesse ricevuto per il buon lavoro svolto, “mi stanno succhiando il ca..o” mi diceva, per poi raccontarmi quanto idioti fossero perchè in realtà non lo conoscevano affatto.
C’era sempre il tonto al lavoro, quello che non capiva niente, e quello che invece era un grande, un esempio da seguire, qualcuno da farsi amico. Non l’ho capito subito, ma dopo un pò mi sono accorta che delle poche persone che aveva scelto, lui poteva averne un tornaconto. Poteva essere un tornaconto di qualunque tipo, ma il tornaconto intellettuale era il suo preferito. Voleva imparare dagli altri. Avere nozioni e informazioni dagli altri. Gli altri erano una fonte da cui attingere anche se questo significava usufruirne. Che male c’è a imparare? Nessuno. E se per farlo usi la persona che hai scelto?”
Il lento smascheramento, tutto si fa più limpido. Percorrendo questo doloroso cammino alternato da momenti di lucidità e momenti di sofferenza, in Carla si apre un'altra via, che le permette di osservare obiettivamente ciò che è stato, quanto è accaduto e chi si ha dinanzi. Con la mente sempre più sgombra da sogni, da illusorie proiezioni, da speranze e vie di salvezza impraticabili ora può finalmente guardare ai fatti distanziandosi da essi e "smascherare" il partner per ciò che realmente è. Questo le permetterà di lasciar andare il senso di colpa verso se stessa, ma anche lui.

“Quando ho iniziato a fargli presente che in realtà non era come dimostrava agli altri di essere, allora ha iniziato a commentare che nemmeno io ero come gli altri pensavano che fossi, che ben pochi conoscevano la mia vera natura, e che di certo non possedevo tutte le qualità che mi ero convinta di avere. Era un tango di frecciate quotidiane. Mi diceva: “se fai così allora non sei così intelligente come pensi”, “questo è un problema tuo”, “la tua bambina interiore sta frignando”.
Dal momento in cui ho iniziato a capire cosa stesse succedendo e a farglielo presente ha iniziato a crollare il castello che si era montato su di me, e presto fatto, non ero più “utile” alla sua stimolazione intellettuale e al suo ego.” Questo atteggiamento di manipolazione e svalutazione (si chiama Gaslighting) viene messo in atto per confondere il partner e portarla a credere ciò che è più conveniente farle credere, il cui ingrediente principale è appunto, la manipolazione. Il tutto viene “somministrato” gradualmente, proprio come un veleno, per fare in modo che ci si abitui lentamente e si impari a convivere con questi dubbi e sensazioni. La volontà che sottende è solo quella di manipolare pensieri e percezioni, modificando la capacità di valutazione della vittima. I manipolatori considerano la sensibilità e le emozioni della propria vittima come negative, come un sintomo di debolezza, per questo tendono a minimizzarle, al punto da far sentire il partner a disagio. Il risultato è la tendenza a reprimere. Continuamente.
“Sono stata io a lasciarlo. E’ successo dopo l’ennesimo attacco di panico mattutino. Erano anni ormai che mi svegliavo piangendo e andavo a dormire piangendo. Quando dormivo.
Il mio istinto di sopravvivenza ha vinto sul desiderio di una relazione con lui. Su quello che credevo fosse amore.
Ancora sto curando le cicatrici aperte sulla mia autostima, sulla maniera di vedere me stessa, il mio corpo che per anni non ha più ricevuto attenzioni, complimenti. E’ certo che questa esperienza mi ha aiutato a fare un passo in avanti sulla comprensione della mia parte oscura nel coltivare le relazioni. Sui i miei difetti. Su i miei problemi.
Ma più di tutto su come si da il potere a qualcuno di lasciarsi usare, manipolare, giudicare in maniera subdola e sottile, in maniera quasi giustificata.
Non mi piace fare la parte della vittima, perchè sono certa che anche lui è stato colpito dai miei atteggiamenti in modi che io non comprendo e non conosco. Sono certa che anche lui, alla sua maniera abbia tentato di capire cosa stesse succedendo e perchè non stesse funzionando.
D’altronde una relazione è fatta di due persone.
Ma ora posso dire che si. Ho subito l’anaffettività, la mancanza di attenzioni, la freddezza, il calcolo, la razionalità, e che forse è tra le cose peggiori che potessi pensare per me che ancora oggi analizzo traumi familiari e cerco guarigione.
Quando subisci restituisci alla tua maniera, e dopo un pò non si capisce come questo gioco sia potuto iniziare e perchè.
Sono certa che lui non sappia di avere questo disturbo, e sono certa che in ogni caso non lo accetterebbe. Perchè le persone comprendano di avere un disturbo di personalità devono passare per una serie di esperienze con una certa potenza emotiva, ma non è detto che anche in questi casi siano guaribili.
Chissà qual è il mio disturbo sconosciuto.
Essere umani è anche questo. Essere disturbati.
Ma è importante capire quanto vale la pena abbandonarsi per amore e se l’amore sia invece nascosto sotto desideri non conosciuti e poco chiari.
Le persone che incontriamo ci insegnano.
Quello che ho imparato e che non dimenticherò è che se hai un forte senso dell’istinto, ascoltalo.
Che bisogna sempre provarci.
Che le persone devono toccarsi, baciarsi, coccolarsi, sentirsi fin dentro l’anima. Il più possibile rispettando i tempi di ciascuno.
Che le persone, anche le più crudeli hanno vissuto il proprio dolore e che questo si trasforma, in maniera inconsapevole e sconosciuta. Che il dolore si trasmette.
Che una violenza non deve mai essere giustificata, qualunque sia la sua natura.
E in fine, che bisogna amarsi, prendersi cura di sé prima di pensare che possa farlo qualcun altro.
Pertanto cosa succede nella vita di una persona quando si incontra qualcuno così e ci si innamora?
Succede che si vive, si fa esperienza, si ha una storia da raccontare se si riesce ad uscirne.
Succede che non è colpa di nessuno, eppure è responsabilità di tutti.”
Il passaggio finale che compie Carla è quello della riappropriazione di Sè, del suo senso di'identità sbiadito, della comprensione e del perdono di se stessa, ed anche dell’altro.
Un atto di grande coraggio. Si comprende che la relazione non poteva andare in altro modo. Si accetta, solertemente. Si fa pace col fatto che è stato un passaggio doloroso ma necessario, di crescita e di conoscenza profonda, che porta alla piena consapevolezza e volontà di essere se stessi.
Si abbandona il bisogno compulsivo di ottenere dall’esterno ciò che dobbiamo imparare a trovare dentro noi stessi e magari donarcelo, quotidianamente: amore, rispetto, considerazione, premura e stima di sè, dando valore a ciò che si prova e si desidera senza richiedere approvazione degli altri, ma semplicemente accettandoci, amando, per primi noi stessi.
Il mio Grazie a Carla.
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